Nuove misure del Dipartimento di Giustizia contro Google: in discussione la vendita di Chrome

Il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti chiede a Google di vendere il browser Chrome per contrastare il suo monopolio nella ricerca online, mentre emergono nuove dinamiche nel mercato digitale.

Il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti sta intensificando le sue azioni legali nei confronti di Google, avanzando richieste per “rimedi” destinati a contrastare il presunto monopolio dell’azienda nel campo della ricerca online. Al centro delle contestazioni c’è il browser Chrome, considerato dalla tesi accusatoria un elemento chiave nel mantenimento di questa posizione dominante. Le autorità chiedono la cessione di Chrome affinché il mercato torni a un equilibrio più sano. Questa situazione pone interrogativi su come i cambiamenti tecnologici e le nuove dinamiche del mercato stiano influenzando le vecchie accuse rivolte a Google.

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La richiesta di vendita di Chrome

Il DOJ, sotto l’amministrazione dell’ex presidente Donald Trump, ha avviato un’azione legale contro Google per obbligarla a vendere il suo browser Chrome, insieme a tutte le risorse necessarie per lo sviluppo del software. Chrome vanta una base utenti imponente, con circa 3,4 miliardi di persone che lo utilizzano ogni giorno. Questa manovra da parte del governo statunitense si propone di trasferire questa vasta utenza a un concorrente, in modo da diminuire il potere di Google nel settore della ricerca online.

Sarà compito del governo identificare e valutare possibili acquirenti, affinché la vendita non rappresenti una minaccia per la sicurezza nazionale. Durante il periodo di transizione stabilito dalla sentenza, Google non sarà in grado di lanciare nuovi browser, ma conserverà la possibilità di continuare a contribuire al progetto open source Chromium, alla base di molti software alternativi.

Le accusazioni anacronistiche

Il documento presentato dal DOJ descrive Google come un giocatore predominante nel panorama digitale, affermando che il suo motore di ricerca è diventato un’app delle quali le persone non possono fare a meno. Ogni azione quotidiana, dalla ricerca d’informazione alle emergenze, dipende dall’accesso a Google. Questa visione, seppur valida in passato, ora appare superata, considerato l’emergere di nuove soluzioni e concorrenti.

Negli ultimi anni, si è assistito all’ascesa di chatbot basati su tecnologie di modelli generativi, come ChatGPT e altri, che stanno cambiando radicalmente il modo in cui le persone cercano informazioni. La tradizionale concezione di motore di ricerca, di cui Google è stato il leader, sta diminuendo in rilevanza. Google ha riconosciuto questo cambiamento, integrando la sua intelligenza artificiale, come Google Gemini, nei servizi di ricerca esistenti.

Chrome e il progetto Chromium

Chrome è un browser sviluppato come parte del progetto open source Chromium, che ha dato vita anche a numerosi software alternativi come Edge, Brave e Opera. Quindi, il problema sollevato dalle accuse non riguarda unicamente il browser Chrome. Esiste una mancanza di consapevolezza tra gli utenti circa le valide alternative disponibili nel panorama dei browser.

Nei fatti, alcuni sviluppatori, come quelli dietro al browser Ladybird, accusano l’industria di avere un’eccessiva concentrazione su Chromium. Dall’altra parte, Mozilla, creatrice di Firefox, teme che un’eventuale divisione di Google possa danneggiare anche le realtà concorrenti. Questo è dovuto al fatto che aziende come Mozilla traggono parte delle loro entrate dalle ricerche effettuate via Google Search. Un’eventuale perdita di questo canale di entrate metterebbe in seria difficoltà l’esistenza di browser indipendenti.

Google, da parte sua, ha suggerito un’alternativa, incentrata sull’ampliamento della collaborazione tra il suo motore di ricerca e gli sviluppatori di browser. L’azienda propone che questi ultimi possano integrare Google Search, beneficiando di accordi proficui.

Futuro incerto per Google

Nei giorni scorsi, il governo statunitense ha messo in campo possibilità alternative per i “rimedi”. L’idea iniziale era quella di costringere Google alla vendita di Android, ma ora l’attenzione si è spostata su un controllo più rigoroso delle politiche aziendali, in particolare riguardo alla preinstallazione di servizi Google sui dispositivi Android. Tra le restrizioni previste c’è l’impossibilità di imporre ai consumatori l’uso dei propri strumenti di ricerca o intelligenza artificiale.

Google ha manifestato il proprio discontento nei confronti di queste aperture, ritenendo che superino le competenze di un tribunale e possano arrecare danno ai consumatori. Nonostante il gruppo abbia presentato diverse soluzioni alternative, come la modifica degli accordi sui motori di ricerca predefiniti, queste non sembrano soddisfare le prescrizioni del DOJ.

Man mano che i procedimenti legali avanzano, Google si prepara a contestare in appello le misure imposte, cercando di ottenere una sospensione dei rimedi adottati fino al definitivo verdetto. Se il ricorso non dovesse rivelarsi fruttuoso, l’azienda californiana, cofondato da Larry Page e Sergey Brin, si troverà ad affrontare una fase completamente nuova, caratterizzata dalla perdita di Chrome e dagli stringenti controlli governativi sulle sue attività strategiche.

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